I PORTALI
I Portali che danno risalto agli ingressi di palazzi cannesi meritano una particolare attenzione: i pilastri, gli Archi e i decori lapidei finalmente lavorati si staccano, con la loro diversità cromatica e con la luminosità riflessa dalla pietra finemente lavorata, dai muri di facciata piatti e disadorni dal caratteristico colore ocra conferito all’intonaco dalla sabbia locale. In realtà, nella maggioranza dei casi, i portali non costituiscono veri e propri volumi che si staccano dal piano di facciata, ma si presentano come elementi bidimensionali semplicemente addossati alle pareti, sottolineando le aperture. Nei due palazzi più recenti, Palazzo Pitrelli e Palazzo Ielpo, i portali, prendono corpo, acquisiscono monumentalità, si .
trasformano in volumi autonomi che riquadrano-non più semplicemente sottolineano-gli ingressi, mediante l’impiego deciso degli ordini classici.
La caratteristica comune sia ai portali più semplici che a quelli più elaborati consiste nell’accentuazione della centralità degli ingressi, caratteristica propria delle facciate barocche in generale e in particolare di quelle napoletane, dove i portali diventavano un elemento autonomo. Cosi gli ingressi fungevano il punto di passaggio tra lo scarno spazio pubblico e il contrapposto interno privato che era preannunziato dalla decorazione scultorea e dagli stemmi.
L’abitudine apporre degli scudi e delle targhe sui portali, dapprima nei palazzi patrizi e rapidamente imitata nelle dimore delle famiglie agiate, si diffuse a partire del Quattrocento e del Cinquecento. Nel primo caso si voleva evidenziare l’autorità del signore; nel secondo si voleva mostrare la preminenza dei proprietari all’interno della comunità, posizione derivante dalla loro ricchezza.
Il desiderio di emulare la nobiltà da parte dei ceti borghesi, di condividere dalle immagini che denotavano potere e prestigio sociale fece sì che questi adattassero degli stemmi al di fuori del loro naturale contesto araldico, segni che superficialmente li accomunavano ai signori titolati, così nelle facciate dei palazzi locali si moltiplicarono armi e scudi.
Le famiglie borghesi, prive dunque di titoli nobliari e dei corrispondenti simboli araldici riconosciuti dalle cancellerie, incaricavano qualche pittore, architetto o degli scalpellini stessi di creare uno stemma al solo scopo di ornare le facciate dei palazzi di loro proprietà o gli altari delle cappelle gentilizie. E così, queste composizioni araldiche, più o meno ortodosse, erano quasi sempre disegnate al di fuori dei canoni dell’araldica ufficiale, seguendo gusti personali o copiando e ricomponendo altri stemmi. Questa attitudine si diffuse talmente che nel 1616 il vicerè di Napoli Pedro Tellez y Giròn, duca di Osuna, prese provvedimenti contro gli artigiani che prevaricavano collocando dei falsi blasoni nelle loro botteghe.
I portali cannesi furono realizzati da abili scalpellini della zona che lavoravano prevalentemente la materia prima proveniente dalla cava nocarese dell’Arma dei Gatti. Si tratta di una pietra calcare morbida e molto adatta a essere lavorata. Per le soglie e per i davanzali veniva utilizzata una pietra più dura, o altra qualità di calcare o pietra silicea. Le caratteristiche meccaniche dei tipi di pietra adoperati non permettevano l’uso di pezzi lunghi così che i piedritti sono divisi in vari elementi. La rifinitura della pietra veniva effettuata tramite la levigatura o bocciardatura. Spesso i portali sono affiancati da altri elementi lapidei, meno appariscenti e con un carattere spiccatamente funzionale:gli anelli per attaccare gli asini.
Stilisticamente distinguiamo due tipi di portali: d’ispirazione barocca e neoclassici. Quelli del primo tipo, più che lo sfarzo o il virtuosismo decorativo e coloristico proprio dello stile sei-settecentesco partenopeo, prendono da esso gli svolazzi e le spirali che erano le cornici laterali. In essi degli archi con sagomatura esterna curva sono affiancate dalle cornici piatte, che sovente hanno alla base dei cartocci e nelle quali, non di rado, sono inserite delle facce schiacciate. In molti casi i portali hanno scolpiti sulla chiave dell’arco dei mascheroni con volti umani; a volte questi sono posti lateralmente, accostati all’esterno delle cornici. La funzione di queste raffigurazioni è di carattere apotropaico, simile a quella che avevano le corna di animali posti sugli ingressi delle case rurali, desinati ad allontanare il male, ed erano in relazione con quelle cornucopie che, scolpite nei portali stessi, dovevano assicurare prosperità alla dimora e ai suoi abitanti.
Il portale del palazzo Favoino ha un suo carattere massiccio, decorato a bassorilievo sull’arco e sui piedritti e reca in chiave l’iscrizione “ANNO MDCCLXXIII CONSTRVCTVS ET MDCCCXXVII INSTAVRATVS”.
Il portale dell’antico palazzo Morano è molto piatto, si presenta molto rimaneggiato e incompleto.
Il portale del palazzo toscani, è semplice, con basi e capitelli essenziali e decorato con lo stemma della famiglia.
I portali dei palazzi Truncelliti-Campolongo e Rago sono molto simili (così come sono simili al portale al portale del palazzo Morano) ed è possibile che risalgono alla stessa mano, almeno i primi recano rispettivamente le date:”A.D. 1845” e “A.D. 1846”; al terzo manca la parte centrale dell’arco e con essa la probabile datazione.
L’alto portale che si affaccia sulla piazza San Martino, quello del palazzo Pitrelli,
è l’unico portale cannese pienamente barocco: è molto ricco, affiancato da due cornici molto sporgenti che finiscono all’altezza dei capitelli, dai quali nasce una cimasa conclusa in una cornice che serve di davanzale alla finestra de piano superiore; l’arco ha un andamento spezzato comune nei palazzi napoletani dell’epoca. Lo stemma è sparito qualche anno fa così che non ci è permesso di conoscere la data di realizzazione, ma è probabile che sia servito di modello per gli altri tre. Probabilmente, questi ultimi, più tardi sono stati adattati al gusto ottocentesco adottando l’arco a tutto sesto.
Il portale di palazzo Lillo presenta diverse particolarità. Già la sua collocazione all’interno dell’androne lo distingue dagli altri portali locali, posti – senza eccezione – all’ esterno delle facciate. Questo costituisce una struttura lapidea indipendente, giustapposta alla muratura e non una decorazione applicata al paramento murario, come lo sono quasi tutti gli altri portali ( eccetto quelli dei palazzi Pitrelli e Jelpo). L’inserimento nella fabbrica non è stato risolto felicemente, soprattutto per quanto riguarda il raccordo tra la cornice e l’intradosso della volta dell’androne. Stilisticamente il portale si rifà a modelli tardo rinascimentali; gli stipiti poggiano su piccoli basamenti e hanno basi e capitelli dorici. Arco e stipiti sono segnati da un bugnato e decorati con motivi vegetali; le vele sono ornate con cesti di fiori e il fregio è limitato da due mascheroni. Questo portale, nonostante la posizione nascosta e i limiti qualitativi della lavorazione, si presenta con una notevole forza espressiva.
Il portale del palazzo Campolongo in via Progresso, invece, è pienamente integrato con la facciata: la linea superiore della cornice riprende la quota del pavimento del terrazzino che sovrasta l’ingresso. L’arco è affiancato da vele decorate con rose stilizzate, sormontate dal fregio con giragli e dalla cornice che chiude la composizione. Nell’intradosso del concio che chiude la chiave dell’arco si legge la data. 1872. L’arco è sorretto da stipiti affiancati esternamente da cornici piatte, arretrate rispetto agli stipiti. Le cornici si allargano nella parte inferiore con dei giragli, consueti nei portali locali.
Solo due portali sono chiaramente ispirati ai modelli neoclassici: quello di Palazzo Pitrelli e quello del Palazzo Ielpo. Come già abbiamo accennato, entrambi strutturano le rispettive facciate relazionandosi all’intero sistema degli ordini. Quindi, i portali d’ispirazione barocca si limitano a sottolineare l’ingresso e possono essere pienamente percepiti solo da un punto di vista ravvicinato, mentre quelli neoclassici, essendo integrati in una struttura compositiva più complessa, richiedono una visione d’insieme delle facciate.
Dal libro “Canna” autore José Miguel Panarace