È certo che il paese fu feudo della famiglia dei Sanseverino, conti di Lauria (la
famiglia Jelpo, che si insediò in Canna costruendo l’omonimo palazzo con annesso
il mulino e frantoio, discende dal comune di Lauria) e di quella dei Loffredo, che
diventarono duchi di Nocara e marchesi di Canna. Nel 1498, infatti, re Ferdinando
d’Aragona concesse la proprietà a Pirro di Loffredo, già Giustiziere di Basilicata.
Quest’ultimo, residente a Potenza, non potè però amministrare personalmente le
proprie terre e fu pertanto costretto a cedere la reggenza a un certo Melazzi,
feudatario di Pietragallia, probabilmente imparentato con la famiglia Loffredo.
In alcuni documenti dell’epoca si legge che nell’aprile del 1713 “l’Università di
Canna” inviò una supplica alla Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari,
pregando i Frati Minori di ritornare nel convento. In cambio avrebbero ottenuto
un’entrata annua di quarantadue ducati e mezzo. Dieci anni dopo però i monaci
abbandonarono definitivamente il cenobio per trasferirsi in quello di Santa Maria
degli Antropici in quel di Nocara. Oggi soltanto pochi anziani ricordano la
struttura e la chiamano “Madonn du rit” (mutamento della denominazione
Madonna di Loreto).
Solo in epoca recente Canna divenne un feudo baronale, governata dai baroni
Toscani, originari di Napoli. Quest’ultimo aveva l’autonomia monetaria in quanto
deteneva l’autorizzazione a “battere moneta”.